Turiddu u moru

bentivegna, angelo toto, legno, acrilico

acrilico su legno 120×80

Salvatore Bentivegna, detto “Turiddu u moru”, scolpisce la pietra e il legno a partire dagli anni ’50. Analfabeta, uomo di mare e pescatore finché non scampa a un naufragio, padre di dieci figli ma allontanato dalla sua stessa famiglia a causa della sua stravaganza, sopravvive raccogliendo e rivendendo saltuariamente origano e verdure selvatiche. Conduce una vita marginale, quasi da barbone, in una stanza senza finestre e sotto il piano stradale, che si riempe delle sue opere, frutto di un’attività incessante, e depositate anche in una baracca di legno alla periferia della città, segnalata da un’insegna latineggiante: “Sculpitor in petra naturale”. Si tratta di raffinate statuine in pietra tufacea che rappresentano divinità e creature primordiali, bastoni finemente intagliati con figure zoomorfe, numerosi disegni. Temi principali sono la bipolarità dell’esistenza, il dialogo e il conflitto tra uomo e natura, l’inaccessibile superiorità del principio femminile. Ha una concezione animista della natura che è l’unica religione che riconosce: si definisce “sacerdote della natura” e “raccoglitore”, considera le sue figure preesistenti e il proprio intervento una sorta di pratica cultuale, ma è fiero di vedere ciò che gli altri non vedono. Preso in considerazione solo da pochi appassionati che acquistavano i suoi lavori quando era in vita, e che oggi ne conservano ancora un gran numero, le sue opere rimaste sconosciute sono state presentate per la prima volta al Museo Civico di Gibellina (Tp) nella mostra Le Matriarche, a cura di Eva di Stefano, nell’estate del 2011.

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